Qualche giorno fa mi sono trovata a condurre un gruppo valutativo con dei ragazzi dai 14 ai 20 anni frequentanti un centro diurno. Accedere a un centro diurno di questo tipo significa avere in corso un percorso di supporto da parte dei Servizi Sociali, spesso su mandato dell’Autorità Giudiziaria. Diciamo che questi ragazzi avevano già avuto esperienza e conoscevano altri assistenti sociali, oltre a me. Entro, un ragazzo cambia espressione prima ancora di salutarmi e l’educatore presente gli rivolge una battuta “tranquillo non sono qui per portarti via“. All’avvio del gruppo ci presentiamo e io colgo l’occasione per spiegare che sì, sono un’assistente sociale e il perché ero lì in quel momento e a far cosa… Chiedo quindi “ma da cosa avete capito che fossi un’assistente sociale?” e una ragazza: “siete tutti uguali, ce lo avete stampato in fronte“. Il mio collega, non so se per stemperare o per cercare di aiutarmi credendomi in imbarazzo ha risposto “no ma non è qui a fare l’assistente sociale! e io comunque non lo sono…“.
Racconto questo aneddoto perché lo stereotipo de “gli assistenti sociali portano via i bambini” è noto a tutti, ma così banale non è. Di questo veloce scambio di battute due aspetti mi sono rimasti impressi: “siete tutti uguali” e “ma non è qui a fare l’assistente sociale“. Perché? Perché penso che non si parli ancora abbastanza di ciò che facciamo, nei servizi e al di fuori, come dipendenti e libere professioniste. La professione di assistente sociale abbraccia diverse sfaccettature, dal lavoro di supporto individuale al lavoro di comunità, dalla formazione alla ricerca, sperimentando, studiando e ibridando discipline per promuovere il benessere e la giustizia sociale.
Questo filosofeggiare mi aiuta ad arrivare al punto: io mi sento e mi presento, da sempre ed oggi con questa nuova veste grafica, sempre come assistente sociale. Ho svolto molti compiti, ho lavorato in diversi servizi, tutt’ora mi occupo di tematiche differenti, in contesti vari, utilizzando strumenti diversi, ma questa sono. Ho scelto la libera professione perché mi permette di sperimentare questa professione con il giusto grado di flessibilità e di incertezza che mi fa stare bene. Continuo ad avere collaborazioni stabili, di cui vado fiera e grazie alle quali posso esprimere ciò che so fare, continuando ad apprendere.
Proprio perché il movimento e il cambiamento fanno parte di me, come della professione che ho scelto, questo sito, questa nuova veste grafica, possiamo dire essere un cambio look dal parrucchiere. Il colore di capelli può cambiare, ma la persona sotto rimane la stessa, cresciuta, cambiata, ma sempre lei. Ho scelto quest’anno di impegnarmi a raccontare maggiormente ciò di cui mi occupo e di renderlo disponibile anche a chi non mi incontra con i miei vari altri cappelli organizzativi. Mi sono fatta aiutare perché ciò che trovate qui sia comprensibile anche per chi non frequenta abitualmente il mondo sociale, perché il mio obiettivo è di accompagnare chiunque voglia prendersi cura di sé.
Non vi nego che per quanto sia estroversa, con una modesta autostima e amante anche del centro della scena, non mi è stato facile aprirmi a questa avventura. Fino ad ora c’è chi mi ha conosciuto come collega, amica, figlia, allenatrice, prof… ritagliarsi un ruolo per ciascun contesto permette di scegliere cosa mostrare e cosa no. Qui provo a fare sintesi, a mostrare una Giada con sì un colore nuovo, ma un’identità più forte. Che ne pensate?
PS come avrai visto, non penso ancora che qualcuno che non mi conosce incappi in questo sito! Quindi, chiedo proprio a te, che non sai nulla di me e che magari mi conosci attraverso queste poche righe… che ne pensi?