Perché prendersi del tempo per sé dentro un percorso supervisivo? Può essere utile solo a chi svolge una professione d’aiuto? Ho pensato di partire dalle frasi che mi sono state dette da chi con me ha condiviso questa esperienza per iniziare a rispondere a queste domande.
“Esco di qui con maggiore chiarezza. È come se fossi partita immersa nella nebbia e ora veda una luce da seguire.”
“Pensavo sarebbe stato pallosissimo, invece è stato molto interessante e ora non mi sento sola: quello che provo io, ora so che lo provano anche le altre.”
“La sfida sarà fermarsi per tre ore e dedicarsi del tempo per riflettere e concederselo, chiudendo la porta e silenziando i telefoni.”
“Dalla supervisione di oggi mi porto a casa la certezza che se ho bisogno ho un luogo in cui essere ascoltata.”
“Ha funzionato molto, mi porto a casa tanto, se ce ne fosse occasione lo rifarei.”
“Ho fatto un clic, mi hai acceso una lampadina. In effetti, si accende la luce quando si vuole evitare di inciampare.”
“Mi sento serena: ho capito che desidero impegnarmi a cambiare punto di vista.”
“Vedo una speranza che ha rotto il senso di oppressione. Vedo dei margini di cambiamento.”
Prendersi del tempo per sé iniziando un percorso di supervisione è una scelta di metodo: un setting di aiuto dove portare le proprie difficoltà e dubbi per apprendere dalla propria esperienza, attraverso una rilettura della stessa, condotta con una professionista. Può essere utile, indipendentemente dal lavoro che svolgi. Se nelle frasi che hai letto ti piacerebbe ritrovarti, sperimentala.